Quanto è difficile perseguire un sogno?
E quante volte se ne parla in termini impropri, a volte retorici, a volte tecnici, a volte semplicemente banali?
Se vuoi puoi.
Se riesci a immaginarlo, puoi raggiungerlo.
Dream big.
Tutto vero, tutto giusto, eppure anche una spietata bugia che spesso e volentieri ci fa sputare via litri di bile insieme al collutorio del mattino.
La signora Maisel (di cui ti consiglio la visione, trovi la serie su Prime) mi ha insegnato proprio questo: tutti quei luoghi comuni possono essere veri e falsi al tempo stesso.
Midge nasce in una famiglia ricca, nell’Upper East Side, NY (non esattamente SarrochprovinciadiCagliari, ecco). Vuole fare stand-up comedy, negli anni sessanta, e nessuno la capisce: i genitori le vanno contro, il marito si stranisce, i suoceri la sottovalutano, gli amici la compatiscono.
Lei va avanti, sfida tutto e tutti, regole e parenti, etichetta e perbenismi, pregiudizi e dicerie.
Va avanti, e in tre anni ottiene un risultato strabiliante.
Ma non lo fa da sola: ha Susie, la sua agente, a convincerla che può raggiungere le vette più alte dello Star-system. Ci credono, ci credono insieme.
Essendo una serie di Amy Sherman-Palladino (quella di Una mamma per amica) puoi immaginare come andrà a finire. Ma non è al finale che ti voglio portare, restiamo nel mentre.
Com’è il mentre, il prequel di un sogno da realizzare?
Uno sbatti. Uno sbatti assoluto. Specie se hai pochi soldi, poco tempo, tante responsabilità, un’autostima non sempre al top (e chi ce l’ha?), la sindrome dell’impostore, sei una donna e la lista prosegue.
Per questo è importante capire un po’ di dinamiche sui sogni.
Ti condivido i miei pensieri, come sempre agglutinati in pratici punti (è un discorso che se non così suddiviso diventerebbe un monologo illeggibile, nemmeno io sono una fan della modalità “5 cose che + [risultato sperato dal tuo target]”, ma fidati, o così o diciamoci la verità non mi leggi l’articolo).
Quindi:
6 cose che ho imparato sui sogni dalla signora Maisel (e nella vita)
Non tutti partiamo dallo stesso punto.
C’è chi nasce col privilegio, come Midge, e chi invece pur essendo nato nel primo mondo (privilegio anch’esso) ha ricevuto in dotazione il braccialetto verde della fortuna (!) e fine del film.
E quindi? Dobbiamo odiarla? Io suggerirei di no. Ognuno di noi viene al mondo con delle risorse, e ognuno di noi ha la responsabilità di capire che farci. Ti dico una cosa: un periodo ho pensato che sarei inevitabilmente rimasta indietro nella tabella di marcia della #corsaversoalsuccesso perché guardavo chi studiava alla Luiss, alla Iulm, o in Università di cui nemmeno conoscevo l’esistenza perché fuori portata, e che poi una volta fuori accedeva a robe corporate lontane da me anni luce, mentre io studiavo a Cagliari e al massimo ambivo a un posto in comune.
E chi invece all’Università non ci poteva andare perché doveva prendersi cura di un parente malato? E chi non aveva mai nemmeno colto la necessità di farlo perché costretto a lavorare dai sedici anni per aiutare in casa?
Insomma, nella scala da 0 a privilegio molto spesso crediamo di essere all’origine, dove nasce la retta, nel punto esatto in cui “nessuno mi ha mai regalato niente”, ma se ci rifletti con attenzione anche tu sei un privilegiato, o almeno lo sei per qualcun altro.
Ergo, la chiave sta in queste due parole: (non)comparazione e consapevolezza. Sii cosciente di cos’hai, ma ricordati anche che ci sarà sempre qualcuno che ha avuto più o meno di te.
Meglio non sprecare troppo tempo a capire “come sarebbe andata se” le nostre condizioni di partenza fossero state altre. Quel tempo ci serve per rispondere alla domanda delle domande: “Cosa ci faccio con quello che ho? Cosa posso davvero ottenere?”
Sul percorso dubiterai di te.
Ti chiederei se sei davvero bravo in quella cosa in cui ti dicono “wow, sei proprio capace”. Lo farai soprattutto se la tua valutazione su di te dipende solo ed esclusivamente dall’opinione che gli altri esprimeranno sul tuo conto.
Se ti senti bravo solo quando gli altri ti dicono che lo sei, hai perso in partenza.
Alla maggior parte delle persone piace salire sul carro dei vincitori, in pochi vorranno trainarlo quando si tratta di una carretta mal assortita che trascini a malapena tu sui sanpietrini dell’esistenza. Figurati se si tratta di una carriola parcheggiata, con la tua persona seduta sopra a gambe e braccia conserte.
Nonna avrebbe detto “aiutati che Dio d’aiuta”. Sostituirei l’elemento mistico con quello umano, ma davvero funziona così.
Realizzare un sogno significa soprattutto ricevere porte in faccia. Tante. E alcune non te le spieghi. Realizzare un sogno significa essere pronti, e non veder arrivare le occasioni che ti meriti (o almeno senti di meritarti) in tempi brevi. Vuol dire essere pazienti, tenaci, testardi. Ma anche ascoltare. Anzi, soprattutto ascoltare. e qui mi collego al seguente punto.
Allontana i yes man, tieni vicino chi crede nelle tue capacità ma non ha paura di dirti “sai e puoi fare di meglio”. Cerca una Susie Myers, o almeno, mettiti nelle condizioni di farti trovare da lei.
A volte sai dove vuoi andare, altre volte no. Non ha senso ossessionarsi sulla direzione quando c’è la nebbia all’orizzonte. Falla dissipare. ASPETTA. (Questo è per me, as always lo scrivo a te per interiorizzarlo io).
Assicurati di essere pronto per i risultati. C’è una scena che non ti descriverò nel dettaglio per non farti spoiler, in cui un personaggio della serie dice “Hai presente quando hai un sogno così grande che poi, quando sei a un passo dall’ottenerlo te lo fai sfumare tra le mani perché hai paura?”. Succede. Si chiama autosabotaggio, ed è una roba che crediamo capiti solo agli altri, come le malattie terminali o le multe per un parcheggio in doppia fila, ma può succedere a chiunque (o meglio, a chiunque se ne voglia rendere conto). Non basta lavorare sul risultato, bisogna anche allenare i bicipiti che dovranno tenere in braccio i frutti di questo risultato. Ed è roba di anni, mica di qualche giorno.
E poi basta.
Ho capito che sognare fa male (detto proprio alla Fabio Volo/Emma Marrone), ma è pure l’unica cosa che ti fa trovare un senso a questo marasma di case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale. Perché una vita senza un sogno è solo una passeggiata nel traffico degli eventi quotidiani scandita dal sonno e dal cambio delle stagioni.
E dopo questa riflessione che ha la stessa profondità filosofica dei bigliettini nei Baci Perugina, Arianna Out.
Prima però una domanda: tu ce l’hai un sogno? Come sta andando? In che fase sei?
Ti leggo nei commenti!
Ho scritto tre romanzi, due sono di carta, uno è da ascoltare.
Se ti va di supportare il mio lavoro puoi leggere, ascoltare e soprattutto - tenesareimoltograta - recensire (su Amazon e Goodreads i primi due, su Spotify e Apple Podcast l’ultimo).
Le figlie del barrio 📖
Kore 📖 + 🎧
Troppo facile chiamarlo destino 🎧
Io continuo a credere nei miei sogni, anche se l'insicurezza, il "ma qui hai un bel posto fisso" dei miei, la paura di gettarmi e di modificare la mia vita continuano ad attanagliarmi. Prima o poi, però, riuscirò ad arrivarci, me lo merito e me lo devo.
Bellissima grazie avevo bisogno di queste parole .... riguardo al mio sogno a p.....ti dirò di più ho cancellato la mia vision board deposto le armi arressa chiuso il mio conto Spagnolo perché come dici dipende anche se si nasce privilegiati vedere poi gente che esce da master chef lavoro in posti stellati per no comment