"What's your 2025 word?"
"Stick, just stick."
Ieri, in un localino sivigliano di provincia, ho tenuto la mia prima consulenza in inglese, un progetto editoriale sull'apprendimento delle lingue davvero molto affascinante che mi auguro conquisti lo spazio che si merita sul mercato.
A consulenza conclusa sono rimasta a parlare con la sua ideatrice (io e lei ci conosciamo dal 2022, abbiamo lavorato insieme allo stesso programma della Business School di Siviglia nel 2023, e prima di allora lei è stata la mia coach di inglese. Mi ha fatto passare da un C1 ossidato a un C2 in pressapoco tre settimane. A dir poco una professionista straordinaria).
Ci siamo raccontate la vita dell'ultimo anno, e, dopo un po’ di chiacchiere, confessate i nostri obiettivi personali.
Mi ha chiesto cosa vorrei raggiungere, che progetti ho per il prossimo futuro, e che parola ho scelto come guida.
Ho risposto senza indugi con un verbo asciutto, privo di venature inspirational.
Stick.
Non è la prima volta che rifletto su quanto ti sto per dire, ma è forse la primissima in cui sono pienamente cosciente delle implicazioni: al momento ho davvero ma davvero bisogno di essere costante.
Almeno per un po’, stop al perseguire scintillanti stelle comete che mi portano inevitabilmente alla dispersione.
Devo persistere, picconare nella stessa direzione del tunnel.
Ma facciamo un po' di passi indietro, in modo che questa lettera non sia solo un flusso di coscienza egoriferito, ma qualcosa che possa esserti utile se stai affrontando un momento simile.
Perché gli altri sì e io no?
Gli ultimi anni sono stati complessi.
Fino ad ora non ne ho parlato apertamente, o meglio, non ne ho parlato in termini espliciti perché non ne ero neppure del tutto al corrente io, di cosa mi stesse succedendo.
Cioè sì, sapevo che no me la estaba pasando del todo bien, però non mi sono resa conto di quanto fossi davvero in difficoltà fino a che non sono riuscita ad uscirne.
Ora mi guardo indietro, ripenso al 2023 e mi sembra assurdo che in un solo anno siano cambiate così tante cose.
Tra le principali fonti di frustrazione?
Vedere persone che ho seguito in consulenza applicare i miei consigli e avere successo, e fatturare, fatturare tanto, molto più di quanto sia mai riuscita a fare io.
E quindi lì ne ho avuto la prova.
Il problema non è che non so cosa devo fare.
Il problema è che quando si tratta di me ho difficoltà a mantenere salda la presa abbastanza a lungo.
E poi sempre lei, la solitudine
Non sapevo quanto mi mancasse stare con le persone — e quanto mi stesse pasando factura lavorare sempre e solo da remoto e online — fino a quando, a marzo, non mi ha richiamato la Camera di Commercio di Siviglia per un corso presenziale di e-commerce e vendita online.
Dopo quello sono arrivati, nell’ordine:
Corso IA da 120 ore (sempre Camera)
Corso IA da 90 ore per un'azienda di consulenze e formazione sivigliana, che poi mi ha chiesto di ripetere lo stesso corso altre due volte.
Corso Social Media per il business, di nuovo Camera di Commercio, 90 ore (lo finisco il 5 dicembre)
Corso Marketing Digitale, sempre in Camera, ma progetto Emprendedoras, 120 ore (questo invece lo finisco il 17. Sto lavorando mattina e sera da tre settimane. 9-14 con las emprendedoras, 16:30 - 20:30 con il gruppo social).
Insomma, è da marzo che fatta esclusione per venti giorni a luglio e qualche settimana di agosto, non mi sono fermata un attimo.
Ho inanellato una formazione ad un’altra, entrando in contatto con decine e decine di casi diversi, persone dalle circostanze più disparate che però mi restituivano lo stesso feedback:
Non so come impartire corsi di marketing, IA, social, quello che è, senza portare il focus del discorso sul potenziale, e di conseguenza coachizzare i partecipanti, spingendoli a realizzarsi come professionisti e parallelamente come individui.
Un gruppo speciale
Con uno dei corsi IA stavamo in aula sei ore al giorno consecutive, 8:30-14:30.
Si trattava di una decina di persone over cinquanta, tutte disoccupate dopo oltre vent'anni o più di lavoro, magari nella stessa posizione/impresa.
In alcuni casi, il loro ultimo CV risaliva agli anni 90.
Avevano paura: di non riuscire ad andare in pensione, di non trovare mai più un'azienda disposta ad assumerle, di essere troppo indietro rispetto a chiunque, coetaneə che ancora conservavano il proprio posto, giovani appena usciti dall'università e "cresciuti con la tecnologia in mano".
Lì ho capito che per aiutarlə non sarebbe bastato trasmettere delle competenze tecniche, spiegare come funziona chat gtp: dovevo andare a sanare le radici.
Una mattina della prima settimana, dal nulla, ho detto loro che l’ultima ora di ogni giornata l’avremo dedicata a fare coaching di gruppo (tutto questo senza chiedere permesso all’azienda che ha richiesto i miei servigi, vabbè, loro mi hanno messo da subito in chiaro che ero libera. “Fai quello che vuoi, a noi importa solo del risultato, non come scegli di raggiungerlo.” Musica per le mie orecchie.).
Ci sedevamo in cerchio, e insieme lavoravamo ad ambizioni, progetti, obiettivi, false credenze.
Si è creato fin da subito un ambiente PAZZESCO.
Ci credi che solo a ripensarci mi commuovo?
Ho visto queste persone crescere, cambiare prospettiva, entrare con la disperazione negli occhi e uscire sicure di sé, con voglia di provare a perseguire il proprio proposito, magari per la prima volta.
L'ultimo giorno siamo andati al bar a brindare con una cervecita e qualche tapas. Poco prima di andarcene ci siamo abbracciatə, tuttə insieme, strettə strettə, ringraziando di esserci incontratə.
Una magia che di certo non avrei potuto vivere lavorando esclusivamente dal mio studio con e solo per l’Italia (su questo ho scritto un post su LinkedIn, dove ho da circa un mesetto iniziato a mettere mano alla mia mp spagnola)
Cos’è cambiato
Quella che ti ho raccontato è stata la prima volta che, anziché infilare il coaching in modo sibillino o riservarlo esclusivamente alle clienti de
, ci sono andata de frente.Grazie a questa prima esperienza ho realizzato a pieno che la marca personale, i social media, il marketing, la IA, sono solo e soltanto strumenti dei quali mi servo per aiutare le persone a raggiungere il proprio scopo.
Ma la mia più grande soddisfazione si colloca nel gradino previo: adoro guidarle nella ricerca, sostenerle mentre provano attivamente a capire qual è il cammino giusto per sé.
Un concetto vintage
È dai tempi di #iomiproclamo (podcast nato nel 2020, in pieno COVID, dentro l’appartamentino madrileno di 37 metri quadri) che sono ossessionata dal potenziale, dal poter capire in cosa è bravə chi ho di fronte, dalla possibilità di sostenerlo nella creazione di una carriera su misura.
Era tutto chiaro.
Eppure, per una serie di motivi, a un certo punto quella mia parte (che tra l’altro stava avendo un discreto riconoscimento) l'ho ampiamente boicottata.
Mi ero convinta che
se anziché parlare solo di marketing e comunicazione, dentro la mia attività ci infilavo anche robe di self-coaching, la gente del settore (gli strategist puri) non mi avrebbe preso sul serio o, direttamente, mi avrebbe marchiata come una vende humo.
Contemporaneamente, mentre mi destreggiavo tra marketing e scrittura, pensavo pure che:
se volevo scrivere romanzi e fare della mia penna un mestiere, non potevo di certo parlare di marketing, perché il mondo letterario non può né potrà mai scommettere su di me se anziché discutere dell’ultimo libro di Sally Rooney o Coco Mellors parlo in pubblico di Al Ries o Simon Sinek.
Insomma, ho vissuto nell'angoscia che da una parte e dell'altra — sia come scrittrice che come professionista della comunicazione e del marketing— non mi si potesse accettare così come sono.
Tutto perché, anziché concentrarmi sul mio pubblico, pensavo a cosa potevano dire/credere di me competitor o altrə espertə dei settori in cui mi muovo.
Che chissenefrega, verrebbe da dire.
Eppure.
Ho guidato con il freno a mano tirato, cambiando strada più e più volte.
Girando in tondo.
Tornando periodicamente negli stessi snodi e imbattendomi sui medesimi cartelli che mi mettevano in crisi.
Niente di nuovo sul fonte occidentale: trattasi del solito dilemma della multipotenziale/polivalente/multitasking.
In sintesi: vivevo con il terrore latente di essere vista come una dilettante in tutto, o come una vendifumo che anziché parlare di ROI, KPI, META, SEMRUSH, CRM, PPC or whatever parlava di potenziale, realizzazione personale e proposito, una scrittrice che anziché scrivere e leggere faceva altre cose davvero poco compatibili con un salotto letterario.
Un incontro casuale
Io ‘sto conflitto l'ho portato avanti a giorni alterni per anni, fino probabilmente a questa settimana.
Giovedì ho conosciuto al bar dietro lavoro (se ti sei mai chiestə come ci si fa i contatti in Andalusia: soprattutto così, a caso, con una caña in mano) il direttore del master di Marketing Digitale della Camera di Commercio.
Avevo con me nello zaino il quaderno di marca personale (c'eri, nel 2021, quando ho prodotto un quaderno con Elinor Marianne?): gliel'ho fatto vedere così, tanto per.
Lui si è illuminato, voleva prenderlo e portarlo al suo amico editore di libri business & self help.
"Non so se posso, ho un'esclusiva credo mondiale con la mia agenzia letteraria."
Scoprendo gli altarini
Il giorno dopo, venerdì, ho scritto alla mia agente per raccontarle l’accaduto.
Non le avevo mai parlato della mia parte marketing/branding/business/coaching (as well per paura che non mi prendesse sul serio).
Lei mi dice, con totale serenità: "possiamo pensare a due linee, una business, l'altra narrativa. Passami il tutto che gli do un’occhiata".
That's it.
Punto.
Tante pippe mentali e pensa un po', apparentemente si possono fare entrambe le cose.
Si può fare corsi di IA e metterci dentro il coaching, e avere degli ottimi riscontri da questa contaminazione.
Si può scrivere di narrativa e di marketing, ed è comunque ok.
Insomma, alla fine l'unica persona che si deve prendere sul serio sei tu.
Ah, sai che mi ha detto il direttore in questione (a cui, alla seconda cruzcampo, ho raccontato dei 27362910 progetti che avevo tirato fuori dal cilindro e poi mollato senza troppi ripensamenti)?
"Sabes qué, Arianna? Smettila di dire che hai mollato troppo presto. Semplicemente, il tuo era un tunnel lungo perché quello che c'è dietro l'ultimo strato di muro è un premio bello grosso. E per raggiungerlo c'era tanto da picconare. Continua, dai retta a me che di gente ne vedo tanta. Ti è servito per fare pratica, per esplorare. Adesso però sei pronta. Te queda muy poquito."
Stick.
Nel prossimo numero probabilmente ti parlerò di Siviglia, di come grazie all’ultimo semestre è cambiato il mio rapporto con la città.
Di tutte le persone nuove che sono entrare nella mia vita.
Di come, un posto che mi sentivo a tanto così da voler abbandonare, mi stia finalmente facendo sentire accolta.
Casa.
Proprio di questo parleremo.
Ma a dicembre, a cose fatte.
Ps: alle mie alunne, in una delle ultime lezioni, ho chiesto: "se la tua marca personale fosse un animale, quale sarebbe?". Gliel’ho domandato perché spesso le persone non riescono a dire cose buone su di sé, ma sì su una loro proiezione fittizia.
Alla fine si sono rese conto che le caratteristiche di quell’animale le definivano per davvero, che quegli aggettivi erano proprio quelli giusti per descriversi, raccontarsi al mondo.
Poi loro l’hanno chiesto a me.
Che animale sei?
Ho risposto: una rondine.
L’uccello del viaggio e del ritorno.
Sono una rondine che sa di poter partire, ma che adesso ha scelto di restare.
Stick.
Just-stick.
I love your comment about envisioning yourself like a swallow (una rondine? 🤣 I'll have to add this word to my Italian vocabulary list). A swallow keeps coming back, but each time it's a little wiser and little more experienced...You create an upward spiral for yourself by not chasing the next shiny thing, but by completing cycles that lead to the next level up. 🤍
Ma che bella mail! 🔥
Sono contenta che tu stia trovando la quadra generale, non vedo l’ora di scoprire cosa può succedere d’ora in poi