Mi è sembrato di sentire un rumore
L'arte di imparare a disobbedire (pure quando fa paura)
Questo fine settimana ho fatto due cose che nella loro unione hanno dato l’ennesimo scossone alla Pangea delle mie fondamenta: ho visto Raffa - il documentario su Raffaella Carrà - e letto “dalla parte delle bambine”, un saggio che spiega magistralmente come il genere sia una mera costruzione sociale.
A sentirle così sembrano due attività naturalmente sfuse, con nessun legame plausibile, e invece dentro di me si sono convertite in un cocktail esplosivo che voglio provare a condividere.
Sono cresciuta in un contesto provinciale, bigotto, un piccolo paese di cinquemila anime dove gli stereotipi di genere erano particolarmente radicati ed espliciti, e dove ho faticato parecchio a trovare il mio posto.
Di fatto, pensandoci bene, non l’ho mai trovato.
Tutt’ora, quando mi capita di tornare nella mia casa d’infanzia, mi sento una turista senza biglietto che si aggira in un mausoleo di cui non riconosce alcun valore artistico.
Di chi erano quelle cose? A chi appartengono quei ricordi? Sono io quella delle foto?
"Quando ci si sente il secondo sesso ci vuole molta forza e sicurezza di sé per sostenere la critica di tutti, e allora ci si adegua alle aspettative altrui: si fa, si dice, ci si comporta come gli altri vogliono."
- Elena Gianini Belotti (le altre citazioni di cui non è indicata la fonte sono sue e tratte dal libro “dalla parte delle bambine”)
Sono nata ribelle (che poi, ribelle rispetto a cosa? Forse non è l’aggettivo giusto. Piuttosto direi che ero energica, ma ho dovuto investire le mie forze in una guerra che francamente mi sarei evitata).
Detestavo gli ordini, le imposizioni, il perbenismo.
Eppure, a un certo punto, neppure ricordo bene quando, mi sono conformata. Suore, catechesi, rosari itineranti con le amiche anziane, dicerie, obblighi, silenzi dispiaciuti, aspettative, pettegolezzi e corredi nell’armadio sono riuscitə nell’intento.
Ero stata domata.
La solitudine imposta, il circolo dei pari vissuto come una cerchia di antagonisti, la malattia autoimmune che mi aveva messo a rischio infarto, le ingiustizie che combattevo discontinuamente in attesa della tanto agognata maggiore età, le etichette alle quali mi sarei voluta attenere ma che proprio non facevano presa su di me, mi hanno soggiogata, stremata, lasciata solo con le forze di fantasticare un futuro migliore.
La maggior parte delle bambine è vittima di interventi repressivi quando il temperamento innato le porta ad essere diverse dallo stereotipo femminile imposto.
Ricordo che volevo scappare, scappare lontano, e quella data, i diciotto anni, la fine dell’istruzione obbligatoria, mi sembrava ancora troppo lontana.
Così che provai, per mera sopravvivenza, a farmi andare bene quello che avevo.
E questa sono sicura che non è solo la mia storia, ma probabilmente è anche la tua, di te che stai leggendo.
Magari anche tu hai sofferto di dipendenza emozionale, hai cercato negli altri la tua ancora di salvezza perché dentro di te sentivi - insieme a un fuoco sempre acceso che ti spingeva con frequenza lacrime di rabbia e impotenza dietro agli occhi - di non essere abbastanza, e hai fatto tutto quello che era in tuo potere non per essere libera e basta, ma pure per provare a compiacere chi avevi intorno.
Perché la tua idea di libertà si confondeva con quella di sicurezza, l’altra variabile dell’equazione. E tu sicura non ti ci sentivi proprio.
La paura
Io da sola non mi sento sicura
Sicura
Sicura mai
- Raffaella Carrà (Rumore)
Quando cresci in gabbia, pure il giorno che il lucchetto scatta e puoi finalmente uscire, dopo il primo volo e qualche allegra piroetta, sentirai di nuovo voglia di cattività.
Perché a te di cosa farci con tutta quell’aria, quelle chance, non te l’hanno insegnato.
Sai che sei donna, e non sei protetta.
E il mondo è pieno di pericoli, ti hanno raccontato. Specie per te, femmina.
Hai paura.
Così, pure se eri una ribelle, almeno in parte diventi mansueta, e ti ritrovi da adulta e lontana da casa a chiederti “chissà dove sarei se fossi nata maschio”, e poi a ammetterlo a voce alta: io volevo nascere maschio.
Ma mica per il pene, specifichi. Tu vuoi i privilegi che quell’appendice porta con sé. Perché non hai più voglia di lottare, di cambiare le cose. Vorresti solo rinascere, e farlo dalla sponda giusta del fiume.
Io ce l'ho e tu no è una realtà anatomica che non può essere contraddetta. Ma c'è molto da discutere se "l'invidia del pene" sia, come sostiene la psicoanalisi, un elemento della psicologia femminile che ha radici nelle differenze anatomiche tra i due sessi o non abbia invece radici sociali [...] La scoperta delle differenze anatomiche tra i sessi equivale a quella della differenza del colore della pelle. I bambini che per la prima volta si imbattono in un uomo dì colore ne sono fortemente impressionati. Ma digeriscono rapidamente e con facilità la scoperta perché non è collegata a rinforzi di natura sociale che assegnano un ruolo predominante alla razza nera. E' proprio al bambino di razza nera, invece, che scopre l'esistenza di individui di razza bianca ai quali è riservato il potere e che hanno un valore sociale ben superiore al suo, che accadrà di provare "l'invidia per l'uomo bianco" in quei paesi in cui il problema della propria inferiorità sociale gli , si presenta in continuazione. La pelle bianca, come il pene, diventa simbolo del potere e quindi oggetto di invidia .
Il poter viaggiare da sola, avere successo senza il terrore di oscurare l’aurea di chi ti sta vicino (che se no si sentirà minacciare la sua virilità e vorrà fuggire), brillare ma non troppo, restare umile, discutere sì, ma imparare pure a stare zitta perché in fondo in fondo tu non puoi mica avere ragione.
Ecco, ieri, mentre guardavo Raffaella sfidare tutti i limiti dell’Italia della prima Repubblica, oltrepassare le convenzioni a colpi di cervicale, affrontare le critiche, mostrare l’ombelico in tempi poco avvezzi alla pelle nuda, mi sono detta: l’impegno più grande di questa nuova tappa sarà decostruire.
Sì, DECOSTRUIRE, pure se il correttore mi segna questa parola come erronea.
Perché solo chi ha il coraggio di andare oltre le imposizioni che non gli appartengono, può riuscire nell’intento di una reale liberazione.
Forse queste mie parole ti sembreranno deliranti, confuse, e forse sì, lo sono.
Eppure, fosse anche solo per fare rumore, quel rumore che ci fa così tanta paura sentire quando pensiamo di essere sole, vale la pena di cacciarle fuori.
Perché io zitta non ci sto più.
E se sto sul culo per questo (anziché cazzo diciamo culo, che quello ce lo abbiamo tutt* ed è ben più inclusivo) beh, pazienza.
Ho trascorso un trentennio a cercare di parlare il giusto e andare a genio alle persone.
Voglio iniziarne un altro in cui mi basti andare a genio a me stessa.
“Posso lasciarvi un’eredità? Disobbedite. Rompete la regola. Non fatevi mai dire che non state bene con quello che vi fa stare bene. Quello che vi sta bene, vi sta bene sempre, e se non sta bene a loro è un problema loro. Come dire? Dovete piacervi, non compiacere”.
- Michela Murgia
Arianna, grazie per queste parole! Anch’io mi ci sono rivista molto, dato che sono cresciuta in un paese del sud e adesso abito felicemente vicino Milano, che è dove mi sento viva sul serio. Le dinamiche di paese mi hanno sempre fatto sentire in gabbia, perché io mi sentivo diversa e questo non piaceva a nessuno. A Milano mi sento nel mio mondo invece.
Ciao Arianna, grazie!! Mi ha fatto molto piacere leggere questi tuoi pensieri, hanno rispecchiato un quadro generale di quello che è successo a me… e devo dire che le tue parole mi vengono propio a pennello in questo momento. Prenderò come tuo consiglio leggere questo libro e vedere il documentario di Raffaella Carrá.
Ti seguo sempre, ancora grazie❤️