Mancano tredici giorni al mio matrimonio, e ho il raffreddore.
Ne ho approfittato per farmi una bella scorpacciata di telespazzatura, qualcosa che potesse ossigenarmi i neuroni appannati dal moccio. Sì, nessun errore, volevo proprio dire ossigenare, non intorpidire. A me i reality show stile Love is Blind, Temptation Island o Ultimatum mi aiutano a tenere il polso della società nella quale a volte sguazzo controvoglia.
Ho sempre saputo di essere un’anima antica, e constatare quanto fragili siano le relazioni umane che ci si appresta nonostante tutto (problemi strutturali, valori non condivisi, tracciati futuri discordanti, bugie o “omissioni”) a voler formalizzare mi rende malinconica, ma mai quanto prendere atto che addirittura quello che ci suggerisce il nuovo mercato delle idee è l’annichilamento del per sempre, prontamente sostituito da un “finché ne ho voglia” implicito nel giuramento.
Mi spiego meglio.
Mentre guardavo l’ennesima coppia di francesi che si diceva sì nella loro prima edizione di Ultimatum (il format in breve: 6 coppie - sono lì perché uno dei due dice “o ci sposiamo o ci molliamo” - il programma richiede loro di trovare un partner per tre settimane tra le altre 5 coppie lì presenti - convivono per 3 settimane con il prescelto - dopo si rivedono con i propri consorti e ci convivono per una settimana - si separano per due giorni - si rivedono per capire se si sposano o si mollano) - nonostante la scelta più saggia sarebbe stata che corressero entrambi in direzioni opposte del globo - facevo scrolling su Instagram.
Sono capitata accidentalmente in un commento che ha reso le mie riflessioni in merito all’amore moderno ancora più intricate.
Normalicemos conocer a alguien y decir “tú serás mi próximo ex”.
Normalizziamo il fatto di conoscere qualcuno e dirgli “tu sarai il mio prossimo ex”.
Il commento appariva sotto un estratto del podcast di una influencer spagnola che si è da poco separata da quello che lei riteneva l’amore della sua vita. “I miei piani sono andati in frantumi”. Unica lapidaria osservazione in merito: la sopracitata.
Da lì è partita la mia sfilza di quesiti, una Pangea di valutazioni ingarbugliate che ti sottoporrò a seguire riassunta in un pratico binomio interrogativo (farò solo per oggi la Carry Bradshaw dei poveri - nessuna gonna rosa di tulle, solo un paio di mutande ingrigite dai troppi giri in lavatrice e una canottiera a costine verde oliva. Mai stata fashion, al massimo in palette. E sempre mortadicaldo).
Che senso ha sposarsi quando è evidente che alla base ci sono delle divergenze più profonde della fossa delle Marianne?
Risposta 1:
Te lo impone la società, la tua religione, tua madre (in ogni show c’è sempre La Madre). Mica tutti c’hanno il fegato di de André e lo sbatti di andare sempre e comunque in direzione ostinata e contraria.
Risposta 2:
Temi la solitudine persino più dei consigli non richiesti della tua famiglia politica, e quindi “Más vale malo conocido que bueno por conocer” ( “meglio la cosa cattiva che conosci che una cosa buona ancora da conoscere”).
Risposta 3:
Non hai nozione del vero significato di compromesso, termine che di tanto in tanto utilizzi impropriamente al posto di appiattimento, uniformazione, o, nel peggiore dei casi, sottomissione (più o meno conscia).
Che senso ha sposarsi se in testa si ha il tarlo universale del “tanto divorziano tutti” (pure Ilary e il Pupone!!!)?
Risposta 1:
Abbraccio la teoria e metto le mani avanti, così se poi mi frega/tradisce/annoia/restaindietro la mia psiche è già pronta all’evenienza. Ergo, soffre meno. Qui bisognerebbe aprire il capitolo effetto Pigmalione de “le profezie che si autoavverano”, ma lo facciamo alla fine.
Risposta 2:
Sono un individuo pragmatico e penso che “l’amore eterno non esiste, ma logisticamente può essere utile essere coniugati a un altro bipede”. (Mettichesuccedeunadisgraziaemiricoveranoeatenonfannoentrareinterapiaintensiva semicit. di una buona fetta di coniugati)
Risposta 3:
Forma mentis da Il Miliardario: lo compro ma so che non vinco. Ma almeno mentre lo grattavo con la mia monetina placcata in rame provavo il brivido della possibilità.
Quello che sta venendo a mancare - in mia modesta opinione - è il senso di impegno quotidiano.
Immersi come siamo nella nostra società liquida (ne parla Bauman nei suoi saggi che ti consiglio di leggere se hai bisogno di capire perché il cambiamento ad oltranza è ampiamente incoraggiato, mentre il voler essere stabili è visto con lo stesso occhio ostile di un Sorrentino che guarda una puntata di Cento Vetrine) ci siamo dimenticati che il per sempre è tutt’altro che sinonimo di stasi: il per sempre è rinnovamento perpetuo.
Stacchiamolo dalla vile sopportazione, o dal rischio di permanenza per meri costi sommersi (“ho un mutuo con questa persona, figli, cane, anni di vita, album di foto, millecose che devono pur significare qualcosa, mica posso buttare via tutto così, gli avrò detto sì per un motivo pure se mo’ non me lo ricordo”).
Il matrimonio è scelta.
Sì, lo voglio lo dici ad alta voce una volta sola, davanti a un prete, a una fascia tricolore, a tuo cugino o chi per lui, ma quello è solo un momento. Il resto viene dopo, per quanto le sue radici si nutrano soprattutto del prima.
Se quella non è la persona giusta, non lo diventerà dopo il sì.
Se quella è la persona giusta, non continuerà ad esserlo se vivi la tua vita insieme a lei con il costante senso di caducità a farti da damigella.
Prima ti ho parlato dell’effetto Pigmalione.
Riporto testualmente da un articolo di La finestra sulla mente: La profezia che si autoavvera è un fenomeno psicosociale per cui ciò che crediamo di noi stessi influenza i nostri comportamenti e quelli degli altri nei nostri confronti. L’esperimento mostrava come le aspettative degli insegnanti fossero in grado di indurre negli alunni profezie che si autoavverano. Funzionava così: si diceva alle maestre che, in base a un test (inventato), alcuni bambini erano più promettenti di altri. Un anno dopo, i bambini indicati come più promettenti mostravano punteggi migliori nei test di intelligenza rispetto agli altri.
E quindi lo chiedo a te: come si fa ad avere un matrimonio felice se si crede in partenza nel suo fallimento?
Ma anche: perché sposarsi per forza se di questo fallimento se ne respirano già i primi effluvi ben prima di mettersi a fare i tavoli? (A tal proposito: cena buffet. Cena-buffet. E ti regali di arrivare al sì riducendo di qualche unità i copiosi quanto inevitabili machimelhafattofare.)
In buona sintesi: il matrimonio non fa l’amore, e l’amore non fa il matrimonio.
Per quello serve tanta roba che ai giorni nostri stride peggio del gessetto sulla lavagna impoluta: costanza, rispetto, pazienza, culo, soprattutto culo. Sì, perché di persone emotivamente stabili, senza eccessive pennellate di narcisismo e traumi pregressi mai curati ce n’è veramente poche.
Ma prima di chiedersi dove stanno dovremmo fare una cosa ben più importante: preoccuparci di essere noi una di queste.