Di confronto e di conforto (ma solo a cose fatte)
Storia della bramata uscita dal tunnel provinciale: si cambia domicilio!
“Racconta le cose che ti sono successe solo quando sei fuori dal tunnel.”
Quello in alto è un concetto che ho espresso decine di volte, specie durante le lezioni di personal storytelling.
“Se vuoi condividere pubblicamente un aneddoto, una situazione, qualcosa che ti riguarda e che al momento ti sta generando problemi — ma la soluzione non è ancora nei paraggi — tienitelo per te. Elaboralo, gestiscilo e, solo dopo, condividilo.”
Ci sono delle eccezioni?
Certo.
È più che plausibile esprimersi anche se ci si trova nel bel mezzo della faena (lo si può fare per cercare nel prossimo i due con: Conforto & Confronto) ma, se si sceglie troppo spesso l’estemporaneità, si rischia di trasformare i propri canali in un muro del pianto.
Motivo per il quale…
Ho atteso un bel po’ di lune prima di poter dipingere oggi a chiare lettere uno spauracchio che mi ha perseguitata dal 2020:
aver comprato la casa in cui vivo a Siviglia da 4 anni non è stata una buona idea.
Non per la casa di per sé (un ottimo immobile che —spoiler— l’11 di dicembre siamo riusciti a vendere benissimo ricavandoci pure un bel profitto) quanto per tutte le coordinate annesse.
Facciamo un passo indietro: nel 2020 lascio l’impresa in cui lavoravo a Madrid, tiro su il mio progetto di formazione offline, inizia il Covid e la quarantena, sposto tutto online, la mia unica fonte d’ingresso è ciò che sono in grado di generare (corsi, consulenze, affiancamenti) in autonomia, io e marito decidiamo di tornare a Siviglia (Javi è sivigliano, io ci ho fatto l’Erasmus, periodo durante il quale ci siamo conosciuti), a bagagli fatti ci dicono che la casa che dovevamo comprare non ce la potevano vendere, ne cerchiamo un’altra, con il ridotto patrimonio di cui disponiamo ci ritroviamo ad allontanarci sempre di più dal nucleo cittadino, fino a spostare il domicilio a Sevilla este, quartiere che, per farti capire, molti local chiamano Cordova Ovest (e ironizzano con brillantissime facezie quali “ma se ti vengo a trovare devo portare il passaporto?”, “ma lì da voi che ora è?”)
Quando ci siamo trasferiti c’era ancora la pandemia in corso e venivo dalle grandi distanze di Madrid, quindi non mi sono accorta da subito di quanto io, portando lì i miei effetti, mi stessi condannando ad un risvolto karmiko allucinante.
Serviranno un paio di mesi prima che inizi l’incubo, ovvero il momento in cui mi guardo intorno e, anziché maioliche e intonaco bianco, vedo solo marciapiedi immensi, passeggini, cani, asili nido e mollettoni.
“Io volevo vivere in centro. O comunque poterci arrivare a piedi. Questo posto non mi piace. Mi ci sento morire. Che senso ha essere andata via da un paesello in Sardegna per finirla dove Cristo ha perso i sandali a Siviglia?!”
Inizialmente ‘sta cosa la vivo malissimo.
Mi lamentavo CONTINUAMENTE.
Quando andavamo in centro piangevo sfiorando i portoni altrui (immagina la scena: una in blazer tweed oversize che si struscia sulle facciate spisciottate dai turisti e frigna perché la sua casa è lontana dalle principali attrazioni locali. Así de patética.).
Sbirciavo dentro le case come la più esplicita delle voyeur: luci accese, piante, librerie, finestre che si affacciavano su stradine storiche e lastricate erano una calamita di lacrime e singhiozzi.
“Qui è dove dovrei vivere io.”
Tornarono a me i ricordi dell’Erasmus, con le passeggiate sul lungo fiume, la bicicletta, la me un po’ selvaggia, libera, libera, libera.
Potresti pensare “ma questa è pazza”.
Alla fine si trattava di un appartamento in periferia, mica Alcatraz.
Il punto è che per me quella situazione era un autentico trigger.
Il circuito a spirale
Come ho spiegato ad intervalli in un altro paio di lettere (questa, ma soprattutto questa) per me la solitudine, l’isolamento, sono qualcosa che mi riporta a infanzia e adolescenza, periodi infausti durante i quali ero confinata in un paesello di cinquemila anime, collegato a Cagliari da una sola linea di cui l’ultimo autobus di ritorno dalla città partiva alle 20:30 (quando il resto del mondo ggiovane iniziava a vivere e socializzare, in sostanza).
Non trovavo rimedi, e avevo messo una firma per un mutuo di trent’anni (mica due).
In aggiunta, il lavoro che mi ero costruita post ufficio — principalmente svolto dal mio studio, che con il tempo ho iniziato ad evitare giacché quella stanza tutta per me tanto agognata iniziava ad angustiarmi più che arrecarmi ispirazione — non ha aiutato.
Non conoscevo nessuno, e non sapevo da dove cominciare (fun not that fun fact: in quel periodo una mia follower mi scrive in un box domande “non sembra che tu abbia molti amici a Siviglia, o sbaglio?”).
Ero io, me e il world wide web.
Mi ero lasciata indietro la mini gang madrilena e ritrovata a Sevilla este con l’epicentro del mio mondo contenuto in uno minuscolo e ammaccato Iphone SE.
Javi nel frattempo aveva iniziato a lavorare mille mila ore, spesso fuori città.
Ero sola, e ci ero arrivata con i miei piedi.
Da qui atto secondo del lagna show:
“potresti fare questo lavoro da ovunque, e invece anche stamattina ti sei svegliata a SEVILLA ESTE (da immaginare scritto con il font Magnificent Nightmare)”
Anziché mettere tutte le mie energie nel lavoro per generare più soldi e quindi avere nuovamente potere d’acquisto per una nuova casa (più centrale) ho iniziato a delirare, a cercare soluzioni partendo dal mondo esterno, anziché da me.
Facevo robe sconclusionate, ne elenco alcune: inviare cv a raffica (salvo poi avere l’angoscia quando le aziende mi contattavano per un colloquio: io quei lavori in agenzia mica li volevo davvero!), smettere di comunicare, chiudermi ancora di più in me stessa, iniziare a pontificare su possibili partenze all’estero (ignorando il fatto che fossi già all’estero, e che quindi la fuga “altrove” non poteva essere la scelta giusta. Ero già altrove, e comunque non stava funzionando) o ritorni in patria (la stessa da cui, ricordiamocelo, sono scappata alla ricerca di lidi migliori).
Mientras tanto, sabotavo con una certa pervicacia la mia relazione fresca di nozze: ogni volta che vedevo Javi, partiva la solfa virgolettata in alto.
Era come un circuito dal quale mi sentivo incapace di uscire senza cancellare tutto ciò che avevo costruito (mio modus operandi da sempre: quando una cosa inizia a non funzionare, ci provo una, magari due volte, ma poi tac, borrón y cuenta nueva, prendo, faccio le valigie, scompaio e rincomincio daccapo).
Questa volta però avevo degli ottimi motivi per restare, si trattava di qualcosa che non avevo mai avuto prima: una famiglia che mi ero scelta.
Javi e Dante.
Ho fatto un passo indietro, l’universo mi è venuto incontro.
Driiiin
La svolta è stata una chiamata a marzo.
Dall’altra parte della cornetta un’impresa locale di consulenze e formazione, a cui era stato passato il mio cv dalla responsabile dei corsi della Camera di Commercio (ricordatasi di me — e del corso di marketing digitale impartito nell’ormai lontano 2022 — grazie a un post su LinkedIn).
Quella prima occasione mi ha permesso di riprendere a fare formazione offline, vedere facce in carne ed ossa con una certa frequenza, svoltando così il mio 2024.
Non solo per una questione economica (siccome ero triste e improduttiva, non è che per conto mio stessi esattamente fatturando come Briatore), ma soprattutto per ciò che mi regalava in ottica di impatto, radici, significato circa la mia presenza qui.
Corso dopo corso, alunno dopo alunno, ho iniziato a sentirmi di nuovo parte di un tutto.
Ho invertito il senso di marcia, cercando possibilità dentro e intorno a me, anziché altrove, lontano, nel nuovo e sconosciuto (ho poi scoperto, facendo l’ennesimo ciclo di terapia, che quello del “il nuovo è meglio” è un bias nel quale si cade di frequente se hai il mio tipo di personalità camaleontica).
Prima ancora però, ho chiesto a Javi di accompagnarmi in terapia, di cercare delle nuove soluzioni insieme.
Io non ne stavo apportando nessuna.
En resumidas cuentas: proponevo di andarcene, ma quando lui ribatteva ma andare dove?, io dicevo solo VIA, lontano.
Al che lui rispondeva: io senza un piano non vado da nessuna parte.
Sipario.
(Il mio scombiccherato giallo vs la sua ostica porzione blu, per dirla a colori)
La terapeuta ci diceva che io ero aria e lui era terra (ragion per cui ci eravamo attratti e tenuti stretti), che dovevamo cercare il compromesso, qualcosa che rendesse soddisfatti entrambi.
Ma cosa?!
Non voglio dilungarmi sul processo per evitare di andare fuori topic (magari ci tornerò in futuro, perché c’è veramente tanto da sviscerare e ci sono cose che mi piacerebbe condividere, sia mai che possa essere d’aiuto ad altre coppie nuvole/selciato), ma fatto sta che dopo un bel po’ di liti, di sessioni che finivano in lacrime con abbracci e pianti (“io non mi voglio separare da te”, questo invece in Pinyon Script con colonna sonora da The Notebook), alla fine siamo arrivati gradualmente alla migliore delle soluzioni possibili: vendere la casa e comprarne un’altra.
Non è stato facile, e nemmeno così ovvio.
Al di là dell’investimento economico che suppone una compravendita (solo le tasse di catastro fanno venire la nausea) Javi non voleva rinunciare al parcheggio e alle comodità che da la provincia, di affitto non se ne parlava neanche, io scalciavo come un cavallo imbizzarrito in attesa dello sparo.
I pruriti alle gambe si erano fatti insistenti (tuttora la notte tornano, suppongo finiranno a febbraio, a trasloco avvenuto), nel frattempo però avevo iniziato di nuovo a fatturare bene, ad avere potere d’acquisto (alert: ci tengo a specificare che sono perfettamente consapevole del mio privilegio, ma posso comunque garantire che sono stati fatti dei grossi sacrifici per prendere questa scelta) e quindi possibilità di proporre un piano più strutturato al mio compare.
Gli astri si sono allineati, e finalmente abbiamo trovato una nuova dimora, il nostro nuovo porto, la base dalla quale ricostruire una nuova vita.

Si è capito che NUOVO era la parola centrale della moodboard?
Sempre Siviglia, per la prima volta Siviglia
Francamente, per me sarà come se mi ci fossi appena trasferita, nella città in cui secondo i documenti abito dal 2020.
Questi quattro anni ho come la sensazione di averli vissuti in una sorta di bolla limitrofa, non veramente nella città che avevo scelto di chiamare casa.
Sarà che io il mondo lo conosco preferibilmente percorrendolo a piedi, ma il fatto stesso di dover usare un mezzo di trasporto per vedere qualcosa che non fosse il quartiere nel quale risiedevo consisteva in un’autentica condanna.
Ed ecco perché questa nuova casa non è solo una casa:
è un cerchio concluso, non spezzato.
È il nuovo nel consueto.
È un successo individuale (ne ho parlato meglio nella lettera dal titolo just stick, quella dedicata alla parola per il mio 2025) e di coppia.
E a tal proposito voglio utilizzare questo spazio pubblico per ringraziare mio marito: ancora mi sconvolge, affascina e commuove il fatto stesso che qualcuno possa amarmi così come sono, che si metta in gioco pure quando a tratti gli remo contro, che resti, che sia presente SEMPRE ma senza mai volermi trattenere.
Mi scegli, ti fai scegliere.
E dentro queste poche parole c’è tutta la vita insieme, che è stata e che sarà.
Per il resto
È stato un anno felice, di grandi consapevolezze, di traguardi attesi da un lustro (il contratto con PNLA, ad esempio), di pagine scritte in montagna e al mare, di amicizia, di una Sardegna nuova che mi manca come non mi era mai, dico MAI mancata, di foglie verdi e radici antiche, di sogni, ma soprattutto di piccole cose (non ti faccio l’elenco per evitare di risultare eccessivamente stucchevole, ma la lista va dal caffè delle 18:30 preso con gli alunni del pomeriggio, agli abbracci che sono riuscita a dare con gioia e non con reticenza o imbarazzo, alle zampette di Dante che suonano una melodia di cliclicli sul laminato).
Porto con me questo senso di pace germinato dopo un 2023 di tempesta e confusione, e conservo la gloriosa realizzazione del tu puoi creare la tua pace.
Ti lascio con l’unico invito possibile alla luce di quello che ho scritto:
riscopri le tue ragioni e dai una chance a ciò che hai in prossimità, non solo lontano mille miglia.
Buon anno, spero di vederti qui anche nel 2025.
A.
Cara Arianna, riesci a dare spunti ad una 57enne "camaleontica" come me, ma con lavoro e famiglia stabili, che tuttavia ancora si chiede dove vorrebbe abitare e cosa vorrebbe fare da grande. E' anche di queste riflessioni che la vita si nutre e che la rendono a volte irrequieta. E' un attimo cadere nel tranello della lagnanza perpetua che porta a vanificare tutto quello che hai vissuto e costruito. Non è facile uscirne e trovare la soluzione che era lì, "in prossimità", ma chi usa cuore e fantasia - e si tiene ancorato alla "terra" - alla fine ce la fa. Si capisce che mi piace leggerti? Grazie per questo input di fine anno. Buon 2025 a te e alla tua voglia di conoscere il mondo a piedi!
Che bello il modo in cui ti apri con onestà a chi ti legge. Buon 2025!