Dono o condanna?
Perché tanti profili poliedrici vivono con scarso entusiasmo la propria natura
Puoi ascoltare oppure leggere, scegli tu👇
La settimana scorsa ho pubblicato un reel sulla poliedricità che è diventato virale.
Mi ha sinceramente stupito la quantità di commenti e messaggi che ho ricevuto da parte di individui che stavano scoprendo il concetto per la prima volta.
Ormai parlo di trasversalità professionale dal 2020 (come tante persone che scrivono, tratto spesso di questioni che ho bisogno di rielaborare “a voce alta”, in modo da poterle assimilare anch’io) e, forse proprio per questo, sapendo la mia bolla già ampiamente ferrata sull’argomento, mi ero illusa che fosse ormai noto a chiunque che esistono persone con l’esigenza di spaziare tra più discipline.
(Ribadisco: persone, non unicorni con la criniera arcobaleno e striature glitterate lilla.)
E invece no.
In tantə credono ancora di essere i soli/le sole, a barcamenarsela in ‘sto mondo che sembra volerci tuttə primari di cliniche private o contabili con contratto a tempo indeterminato.
Per dirla in altre parole: sguazziamo in una società dove, se sei bravə in più di una disciplina, anziché pensare di avere un dono, con più probabilità ti senti un condannato in quanto incapace di scegliere una sola e unica via.
Perché non solo non se ne parla abbastanza, ma non ci sono neppure troppi casi studio attuali su professionistə poliedricə di successo.
Motivo per il quale ho pensato di riportartene qui uno un pochino più recente dell’inflazionatissimo Leonardo da Vinci.
Giorgia Fumo - un melting pot di big data, analisi, palcoscenici e umore intelligente
Breve bio introduttiva per le esigue millenial che leggono la mia newsletter e ancora non conoscono
.Giorgia è un’ingegnera e stand-up comedian.
Dopo la laurea e tredici anni nel mondo corporate, ha scelto di dedicarsi al 100% alla sua attività da comica e content creator.
Tuttavia, i mondi che ha creato non orbitano in diverse galassie: per i suoi mini pippony ti usa sia vignette fatte col dito sullo schermo che grafici apparecchiati sugli assi cartesiani, retaggio dei suoi anni all’uniPi.
Non ha sacrificato nessuna delle sue sfaccettature: l’ingegnera, la creativa, la content creator e la comica coesistono e si endorsano vicendevolmente.
Grazie a questo bagaglio super eterogeneo, Giorgia ha generato un linguaggio narrativo tutto suo, che le permette di parlare sia a chi vuole farsi quattro risate, sia a chi cerca contenuti più “strutturati”.
Qui un campione di quello che io chiamerei lo starter pack del profilo poliedrico👇
Se per molte lei rappresenta uno spirito guida in ottica di approccio alla vita (a proposito, devo ancora recuperarmi il suo Ingegneria della vita adulta, ce l’ho in lista da un po’) per me è stata un’incredibile rivelazione in quanto a paradigma professionale.
Proprio da poco ho riascoltato l’intervista che le feci in uno dei momenti (lavorativamente parlando) più cupi degli ultimi tempi.
Sganciava una quantità tale di aneddoti confortanti che onestamente ci avrei voluto parlare per ore.
Tra le tante cose, disse una frase che mi rimase marcata a fuoco nella corteccia:
“Io avevo una enorme, granitica fiducia che ce l’avrei fatta. Solo che non sapevo come.”
E qui sta il quid: in tantə non ci credono perché non sanno di poterci credere, nelle altre parti di sé meno convenzionali.
Sono troppo occupatə a sentirsi sbagliatə, a cercare La disciplina/vocazione, a tagliarsi gambe e braccia nella speranza di potersi incastrare nella formina preconfigurata.

Non mi dilungo ulteriormente perché si spiega meglio da sola nell’intervista che puoi ascoltare qui (cliccaci, ne vale la pena).
Un ultimo aspetto fondamentale: lei non scappava da un lavoro che le faceva schifo, quindi manco a dire che ha messo a fuoco la sua poliedricità solo perché la routine in ufficio le dava l’orticaria.
Semplicemente sapeva fare anche quelle cose, ma, per circostanze che spiega nell’intervista, non ci aveva investito fin dalle origini.
E forse, alla luce dei fatti, è andata bene così.
Quello che è stato il suo percorso l’ha portata esattamente dove si trova oggi: un astro nascente nel mondo comico e creativo, online o offline che sia.
E a proposito di prospettive…
Se c’è una cosa che mi fa andare in bestia è chi pensa di poter ridurre la situazione di unə poliedricə disorientatə — la cui generazione sta ancora smaltendo le conseguenze del taylorismo — a un “siete liberi di fare tutto”.
Ti spiego perché, in mia opinione, un’interpretazione di questo tipo è a dir poco limitante.
1. Non esiste una sola “vera” abilità monetizzabile
Le persone dal profilo poliedrico (se consapevoli e istruite a riguardo) possono creare modelli di business ibridi, mixando diverse competenze in modo da poter generare reddito da più fonti.
(Se poi unə decide di relegare un’attività in cui eccelle a hobby tanto di cappello eh, non è obbligatorio monetizzare ogni cosa. Diverso è volerlo fare ma non sapere come o se è possibile farlo, e quindi rinunciare a priori).
2. Hobby e lavoro non corrono per forza (e per sempre) su binari separati
La distinzione tra hobby e lavoro può, in alcuni casi, essere fluida: c’è chi trasforma per scelta passioni in business, anche senza necessariamente volerne fare l’unica fonte di reddito.
3. Successo professionale (in ogni accezione possibile) ≠ fare solo una cosa
La specializzazione è UNA delle vie possibili, non l’unica. E di sicuro, non quella adatta ad un profilo poliedrico.
4. L’idea che “con una guadagni, le altre le fai gratis” causa in alcune tipologie di profili poliedrici (la sottoscritta inclusa) frustrazione e senso di improduttività.
Perché se posso avere più di una fonte di reddito (questione che banalmente si impara, giacché nessuno ti spiega come fare qualcosa di diverso che non sia seguire il modello di produzione mainstream: quello della iperspecializzazione), dovrei rinunciarci scegliendo solo una delle possibilità?
A questo punto sarebbe utile farsi una domanda: come posso creare un ecosistema sostenibile con le mie competenze?
Io ci lavoro attivamente tutt’ora, e penso lo farò 4evah.
A volte mi domando se, potendo vivere solo di narrativa e comunicazione (inteso in senso largo, quindi podcast, newsletter, colonne in un magazine etc.), continuerei a dedicarmi a formazione e marketing.
Nel frattempo che lo capisco, innaffio TUTTE le mie piantine, e le tratto con igual dedizione e serietà.
Non perché un susino ci mette più tempo a fiorire di un fagiolo si merita meno acqua: anzi — e non ci serve un espertə in botanica per confermarcelo — è proprio tutto il contrario.
Grazie mille avevo proprio bisogno di queste parole!
Food for thought!