Ho capito che c’era un problema nel momento in cui ho smesso di raccontare chi ero per provare a diventare chi raccontavo di essere.
Lo so, son partita pesante.
Ma giuro che non sono qui per intortarti con dissertazioni sulle proiezioni dell’Io. Piuttosto, scrivo con l’intenzione di svelarti un altro pezzetto di vita, senza particolari finalità retoriche.
Cominciamo dal quid: ho mollato il dottorato.
Mi ci è voluto un anno intero per arrivare alla stessa conclusione sopraggiunta dopo poco più di qualche settimana, ma come sai da un’altra lettera (se te la sei persa puoi leggerla qui) ho resistito per mille motivi che si sublimavano in uno: la paura di deludere chi aveva depositato la sua fiducia in me.
Frugare nelle premesse
Voglio analizzare il processo del soltar per provare a darti uno spunto, qualora tu stessi portando avanti qualcosa che realmente non ti interessa fino in fondo, ma non riesci a capire come mollarlo e se mollarlo.
Qui dei quesiti che possono aiutare a fare chiarezza:
“Quali erano le circostanze in cui hai preso quella decisione? Quelle circostanze sono cambiate?”
“Ti interessa ciò che ti stai proponendo di raggiungere?”
Le mie risposte
Parto dalla prima:
Il contesto in cui ho detto sì, lo faccio, era il seguente: avevo chiuso l’ecosistema digitale di marcapersonale, non avevo un piano B, stavo insegnando all’Università (non mi appassionava ma mi pagavano molto bene), mi ero messa in testa di passare dal freelancing al lavoro dipendente, ho ricevuto un no dopo l’altro, sul fronte libri e romanzi il nulla assoluto.
In sintesi: mi serviva una via d’uscita, qualcosa a cui aggrapparmi.
In quel contesto, ricevere la chiamata della mia direttrice di tesi è stato un autentico toccasana. Avevo di nuovo un obiettivo, un progetto.
Poi però, nel frattempo, è successo che:
- ha preso piede
mi hanno richiamato dalla Camera di Commercio due volte di fila (e ora ho la prova che non è stato un caso fortuito quello con il primo gruppo: formare lavoratori mi piace infinitamente di più che insegnare agli studenti)
ho firmato con PNLA, e ora il mio primo manoscritto si trova finalmente sulle scrivanie giuste
ho iniziato a scrivere un nuovo romanzo
Non ero più quella di un anno fa.
Avevo capito meglio chi ero, cosa volevo.
E non era fare ricerca.
A me i dati piace divulgarli, non crearli.
Così che mi sono armata di coraggio e ho contattato la mia direttrice, spiegandole proprio quello che sto dicendo a te.
Inutile dirti che è stata super comprensiva, e che per l’ennesima volta ho avuto la prova di come una comunicazione trasparente sia una buona idea persino in campi dove distanza e gerarchia sembrano barriere insormontabili.
L’epifania ansiogena
Un momento chiave è stato quando sono andata in biblioteca per scrivere il progetto di ricerca. Dopo aver buttato giù le prime 1200 parole, mi sono resa conto che:
in un testo scientifico non puoi affermare niente senza appoggiarti a qualcuno che quel dato lo ha comprovato prima di te. Non puoi dire “questo foglio è bianco e le lettere sono nere”, anche se lo stai vedendo con i tuoi occhi. Ti ritrovi invece a scrivere ciò che ha affermato Pinco Pallo: “Il foglio è bianco, e le lettere in sovrimpressione nere” (P. Pallo, 2024, p.145) e poi a riportare la fonte in bibliografia seguendo le norme APA. E a me questa catena di Sant’Antonio della conoscenza — per quanto ne colga l’utilità e il senso — mi prende sul serio all’anima.
ogni frase si sarebbe trasformata in minimo 10 pagine di tesi dottorale. E CHI C’AVEVA VOGLIA DI SCRIVERLE?
Nella stanza accanto, un gruppo di persone dipingeva: avrei dato qualunque cosa per essere lì con loro anziché in biblioteca a farmi due palle quadre con Goffman e il suo approccio drammaturgico (bello eh, ma se leggevo un’altra volta “interazione simbolica” o “demarcazione dei confini tra palcoscenico e retroscena” lanciavo il computer).
Lì, esattamente lì ho iniziato a sentirmi mancare il respiro.
Al che ho scritto un messaggio a Javi, poi a un’amica, poi a un’altra.
Lo dicevo alla mia rubrica per dirlo a me stessa:
“Mi sa che mollo.”
Ora, non ti puoi immaginare quante robe sono venute fuori dal momento in cui mi sono liberata di questo peso.
Sbloccare gli intasi
Mi reputo una tipa piuttosto pragmatica, e questo ha fatto sì che quando qualcuno ha provato a parlarmi di energie, vibrazioni, fasi lunari etc ho inevitabilmente manifestato una certa reticenza (anche se sempre accompagnata da un pizzico di curiosità).
Tuttavia, una cosa è certa: quando ti alleggerisci, iniziano a capitare le cose.
Nell’arco di due giorni mi hanno chiamato per tenere un corso di Intelligenza Artificiale applicato al business sempre alla Camera di Commercio e la mia casa editrice indipendente del cuore (e/o) mi ha chiesto una formazione su Instagram per i suoi dipendenti.
Insomma, nel giro di niente tutto ha ripreso a girare alla giusta velocità.
A cosa sia dovuto francamente non ne ho idea, non so quale sia la correlazione empirica tra la mia mail di rinuncia al dottorato e l’arrivo di queste inaspettate e bellissime novità.
La mia parte emotiva lo spiega a quella razionale in questi termini: hai fatto spazio.
E poi, l’ennesima biforcazione
Ero appena tornata in carreggiata quando la vita mi ha messo nuovamente davanti ad un bivio.
Un’ente partner di oltre 50 università americane (Boston, Houston etc) mi ha proposto un semestre nella loro sede sivigliana in qualità di coach degli studenti che vengono qui a fare il semester abroad.
Il direttore mi ha offerto il lavoro al primo colloquio, durato oltre due ore e conclusosi con un caffè ghiacciato in Plaza San Francisco.
Ho poi incontrato le collaboratrici, anche loro d’accordo sul verdetto del capo: “si lo quieres, el trabajo es tuyo”.
Cosa implicava?
Sei mesi di assoluta dedicazione, da luglio fino a dicembre.
Edifici storici in centro, ambiente internazionale, stipendio ottimo.
Ho di nuovo tambaleado: era un’occasione ghiotta, che la me dell’anno scorso avrebbe accettato senza pensarci un nanosecondo.
La me di adesso però aveva appena ritrovato se stessa, e stava iniziando a raccogliere i primi frutti delle sue ultime scelte.
Accettare significava lasciare il cammino che mi è costato tanti sacrifici riprendere, mettere da parte i miei progetti, il libro, la Camera fino alla fine del 2024.
Dopo telefonate infinite e il classico schemino di pro e contro (che normalmente faccio quando le mie viscere sono già convinte di non volere fare una cosa, ma devo persuadere la mia parte razionale che quella presa in un attimo dalla pancia si tratta della scelta giusta) ho rifiutato, scrivendo una lunghissima mail in cui spiegavo tutte le mie ragioni.
Ho ricevuto una risposta il giorno dopo, una mail super propositiva del direttore che si è manifestato molto interessato a possibili future collaborazioni nell’ambito della formazione.
Forse per questo mi sento così orgogliosa di me oggi: ho realizzato che - nell’arco di pochi giorni - ho scardinato, facendo uso di una comunicazione trasparente sia con me stessa che con gli altri, un pattern che ha una storia lunghissima.
Ed è incredibile vedere come, se sai cosa vuoi e riesci a spiegarlo al prossimo, dall’altra parte puoi trovare supporto e comprensione. E persino nuove e inattese opportunità.
Essere chi sei, non diventare chi racconti di essere
Trovare il nucleo del proprio sé non è una cosa semplice.
Capire chi sei, e chi non sei, è un processo che va avanti negli anni, e che spesso comporta turbolenze e cambi rotta.
Per questo non ha senso frenare il cambiamento con la mera idea di aderire ad una proiezione antica: se non sei più quella persona, vai oltre.
Che l’immagine che hai proiettato si converta in un ricordo, non in una prigione.
Nel mio caso, la grande liberazione sta proprio qui: dopo tante difficoltà, dubbi e incertezze, sento di assomigliare a me stessa, e me lo sto confermando con le scelte sopra citate.
Ora, è facile andare oltre il terrore del passo falso?
Manco per sogno, avantieri (pre mail di rinuncia) ho dormito malissimo.
Stamattina, però, mi sembrava di volare.
Leggendo le tue parole, mi sono un po' autocommiserata, perché a me non capitano mai tutte queste opportunità e la mia paura è proprio lasciare andare quel poco che ho (e che non mi piace né mi rende felice da almeno tre anni) e trovare intorno a me il vuoto, e poi pentirmi. Sarà vero che lasciando andare ciò che non assomiglia a te stessa (banalmente, il mio lavoro attuale), si aprono nuove opportunità lavorative? Ci provo da anni, parallelamente al lavoro, ci dedico tutto il mio tempo libero, ma non succede mai nulla, purtroppo. Probabilmente ho scelto un filone "sfigato", nella formazione e nell'Intelligenza Artificiale (ambiti di cui ti occupi tu, se ho capito bene), c'è molta più possibilità di cambiare. Ti chiedo, se puoi, un consiglio, perché mi sento tanto frustrata ogni singolo giorno della mia vita. Grazie!
Carissima Arianna, leggo questa tua email seduta al computer del mio ufficio con la consapevolezza che oggi sarebbe dovuto essere il giorno in cui annunciavo le mie dimissioni. Questa mattina mi sono svegliata e ho capito che non era oggi il giorno giusto. La prossima settimana sarò in ferie (che poi, ferie si fa per dire visto che sono una PIVA). Nonostante io sia pugliese e i miei conterranei abbiano già passato vari weekend al mare, per me saranno i miei primi giorni di spiaggia e relax. Avrò finalmente il tempo di sedermi a scrivere quello che sento e quello che mi sta succedendo e penso che tornerò con le idee molto più chiare su cosa dire quando finalmente metterò i miei colleghi seduti davanti a me e gli dirò "sono stati tre anni molto belli ma ora addio". La verità è che ho paura. Ma le tue parole di oggi, che sono simili a quelle che mi hanno detto la mia terapista e la mia migliore amica, sono ulteriore riprova del fatto che quando finalmente lasci andare e ti ritrovi con le mani libere, quelle mani sono pronte ad attrarre cose nuove. Spero che rileggerò la tua email quando queste opportunità si saranno manifestate nella mia vita e spero potrò pensare "ecco, Arianna, come spesso è accaduto in passato, è stata profetica". Un abbraccio da una follower di lunga data !